Intervista a Raffaele Bonetta: il percorso già ricco di successi di un pizzaiolo emergente
Raffaele Bonetta, pizzaiolo riconosciuto come scienziato e maestro degli impasti, continua a collezionare riconoscimenti grazie a ricerca e studio continui.
PIANETA PIZZA – Raffaele Bonetta, classe 1986, è tra le figure emergenti del mondo del disco lievitato. Inizia sin da piccolo a lavorare come garzone nel locale di famiglia, la pizzeria Ciarly a Napoli. L’interesse per la scienza alimentare e lo sport, nato durante il percorso scolastico presso l’Istituto Alberghiero, lo portano ad approfondire gli studi su nutrienti e composizioni alimentari, approdando poi all’Alma, Scuola Internazionale di Cucina. La biologia gli ha fornito tutti gli strumenti per portare avanti la sua ricerca sulla materia. Cinque mesi fa ha aperto la sua pizzeria sul lungomare di Pozzuoli, in provincia di Napoli. Lo abbiamo incontrato in occasione della cerimonia di premiazione di 50 Top Pizza World 2024 dove si è classificato 48 esimo dopo essere entrato a luglio scorso direttamente al 22esimo posto della classifica nazionale e aver ottenuto l’ambito premio di Solania “Novità dell’Anno 2024”. Di poche ore fa anche il riconoscimento dei Tre Spicchi Gambero Rosso 2025.
Raffaele parlaci di te. Com’eri da bambino, quali erano le tue passioni?
Sono sempre stato molto testardo, qualità che secondo mio padre mi ha portato a raggiungere tanti obiettivi e che si intreccia con le mie passioni, in particolare lo sport. Ho praticato judo da quando ero piccolo, a livello agonistico. Dopo qualche infortunio pesante i miei avrebbero voluto che lasciassi mentre contro tutte le diagnosi mediche ho continuato, togliendomi anche qualche soddisfazione. Mi ritengo fortunato per essere stato molto seguito e supportato dalla famiglia, in particolare mio padre, un supervisore mai invadente in tutti i progetti di vita che ha lasciato sempre spazio perché facessi le mie scelte.
Chi o cosa ti ha avvicinato alla cucina, chi ti ha ispirato nel percorso professionale?
Sicuramente molto lo devo a mia madre e mia nonna, vere cultrici della cucina, hanno passato una vita ai fornelli e noi figli e nipoti siamo venuti su con il rispetto della famiglia e della tavola, abituati la domenica a sederci puntuali, tutti insieme, ci fossero o meno ospiti, attenti al valore del cibo che non andava mai sprecato. La sostenibilità, il principio del dare peso agli alimenti e agli elementi è un bagaglio che mi porto dietro anche da un punto di vista professionale. Per esempio oggi ho molte ricette che sfruttano il siero della mozzarella di bufala, quello che viene giù dopo averla tagliata e che in tanti sversano nel lavandino. Lo utilizzo in molte ricette, lo addenso sul fuoco con una bacca di vaniglia per creare una base estremamente delicata per la quattro formaggi o per altre preparazioni. Mio padre invece ha stimolato la mia curiosità, ci ha tenuto sempre a farmi provare di tutto, dalla cucina giapponese, quando ancora non se ne parlava, a piatti tipici italiani, attendendo le mie osservazioni e considerazioni su quello che avevamo mangiato.
La prima esperienza è stata nella pizzeria di famiglia dove la matrice era quella dei grandi numeri dalla quale hai deciso in qualche modo di allontanarti scegliendo contestualmente di investire in un aspetto dal quale troppo spesso i giovani della tua età rifuggono: la formazione. Cosa ti ha spinto a farlo, o meglio cosa spinge a restare in un solco ma cambiarne la direzione?
La mia prima esperienza è stata nella pizzeria della famiglia di mia moglie. Ci siamo fidanzati giovanissimi, all’epoca frequentavamo le scuole superiori e mi sono trovato catapultato in quella realtà dove davo una mano il sabato e la domenica. La formazione alberghiera e la passione per la panificazione mi hanno sostenuto in questo percorso e mi sono appassionato sempre di più trovandomi a lavorare 12 ore al giorno senza accorgermene. Avendo la strada spianata ho avuto la possibilità di crescere in un locale storico dove i numeri erano veramente da capogiro senza avere nessun freno nella sperimentazione e anche in questo devo dire che sono stato molto fortunato.
Quando ho scelto di aprire una mia attività con un altro taglio ho tenuto conto di una diversa visione che dà importanza al prodotto ma anche all’esperienza del cliente che per essere davvero appagante deve avere caratteristiche difficilmente conciliabili con i grandi numeri, una fra tutte il tempo a disposizione. Chi viene a trovarci deve avere modo di ascoltare la nostra narrazione e godere di un servizio adeguato, e considerato che abbiamo scelto un format che propone più tipologie di pizze, più tipologie di cottura, è molto probabile che il percorso di degustazione sia mediamente più lungo rispetto ad una pizzeria che punta sul modello catena di montaggio.
I numeri che abbiamo registrato negli ultimi 5 mesi lo confermano, il 90% dei nostri clienti apre con una pizza in pala, prosegue con la scelta della tonda e chiude con una pizza dolce, questo fa si che un tavolo da due sicuramente mangi dalle tre alle 4 pizze. Tutto questo inevitabilmente dilata il tempo dell’esperienza.
Come spesso hai dichiarato, il tuo è un viaggio alla ricerca dell’anima degli ingredienti da sublimare dando un’identità alle tue creazioni. Quando e come scatta la necessità di approcciare la materia in modo più “intimo” e come ha inciso nella costruzione del tuo prodotto?
Sono cresciuto con persone che sono state estremamente importanti nel mio percorso professionale ma ho fatto una scelta molto netta, allontanarmi da quell’approccio emulativo che oggi caratterizza il settore, dove in tanti sono pronti a far proprio il risultato di studi e ricerche altrui. Per fare un esempio concreto quando Francesco Martucci lanciò la pizza tre cotture, figlia di un lavoro enorme nato grazie alla sua matrice avanguardista, in tanti sono stati pronti a raccogliere i frutti di cose che non avevano seminato, affrettandosi ad indicare nei loro menù la tripla cottura quando fino a poco prima non conoscevano nemmeno quella a vapore.
Tutto ciò non mi appartiene, ho scelto da subito di lavorare sulla ricerca, sulle fermentazioni, su studi, in particolare quelli con ALMA, che ho preferito approfondire anziché delegare per costruire un’identità tutta mia. Sono ripartito dalla base, ho studiato e tagliato tutti gli ortaggi in fibra e contro fibra, approfondito ricette della tradizione, acquisito anche una padronanza di linguaggio su un mondo, quella della cucina italiana, che bisogna conoscere se vogliamo che la figura del pizzaiolo cresca a livello internazionale. Per intenderci oggi pizzaioli anche molto più bravi di me continuano a chiamare vellutate degli ortaggi frullati.
Molti ricorrono alle consulenze degli chef, nulla di male, ma ho visto tanti anni fa che questa scelta si traduce nell’essere vincolati a un meccanismo, anche da un punto di vista economico. Se non sei padrone della materia sei costretto, per mantenere degli standard, a rinnovare costantemente le collaborazioni a pagamento. Oggi il mio menù degustazione è strutturato insieme a tre chef stellati, amici che lo fanno in virtù del nostro rapporto e spirito di collaborazione, nulla di più.
Come definiresti la tua pizza e cosa ha di speciale?
Non credo che la mia pizza sia migliore delle altre e non credo esistano prodotti estremamente migliori degli altri perché con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione mangiare una cattiva pizza oggi è veramente difficile. La differenza credo che stia nei percorsi e nell’approccio che nel mio caso è fatto di dedizione al lavoro e ad un progetto dove al centro ci sono ricerca e formazione continua. Ma anche questo da solo non basterebbe perché per sostenere tutto ciò devi avere un gruppo forte e coeso, una squadra che guarda nella stessa direzione, ha gli stessi obiettivi e parla la stessa lingua, diversamente sarebbe preclusa la crescita alla quale inevitabilmente si deve puntare. È uno degli aspetti su cui investo più risorse, non solo economiche ma anche in termini di energie personali, e non è sempre facile.
Come nascono le tue ricette e i tuoi menù?
Buona parte delle mie ricette nasce da esperienze vissute, da piatti della tradizione familiare o da qualcosa che mi piace particolarmente, è tutto molto identitario. Come ho già detto non emulo, non mi lascio condizionare.
Nello strutturare il menù parto dall’idea vegetale, da verdure di stagione di cui dispongo per poter lavorare anche sul food cost e quindi sul margine per l’azienda, e per poter offrire piatti gustosi perché coerenti con il concetto di stagionalità.
Lavoro su prodotti che sono molto semplici alla base ma aggiungendo un elemento memorabile, in modo che si possa dire “ricordo questa pizza perché c’era…”
Come selezioni la tua materia prima, quali sono le fonti alle quali attingi per individuare i prodotti con cui realizzerai le tue pizze?
Faccio da sempre un lavoro di ricerca di prodotti e di relative aziende che possono darmi una continuità di fornitura per garantire l’intero arco temporale in cui il menù richiede il loro impiego, cosa che valutano in pochi. È mia abitudine spingermi oltre il limite regionale, allargo il raggio d’azione perché credo ci siano delle eccellenze anche al di fuori della Campania sulle quali dover puntare. Ho un partner che mi supporta in questo e di cui sono Brand Ambassador da sei anni, Perrella Distribuzione, compagni di viaggio stupendi che mi affiancano anche per la realizzazione della carta di vini e birre, un altro campo in cui ho iniziato a studiare.
Lo studio e la ricerca li hai impiegati anche nella costruzione del tuo locale. Quanto conta per te l’accoglienza e il servizio e come li hai strutturati nella tua pizzeria?
Un’ottima accoglienza, un ottimo servizio fatto anche di piccole forme di cortesia, sono fondamentali perché l’esperienza resti positivamente impressa nella memoria del cliente, in alcuni casi possono sopperire anche ad una performance della cucina non all’altezza delle aspettative. Per questo per la mia pizzeria ho scelto di avere 6 camerieri per 75 coperti e una responsabile dell’accoglienza, figura che ho fortemente voluto tenendo conto di quello che mi farebbe piacere trovare nel frequentare altri locali. Non è un caso che investa quotidianamente sul mio team, anche con corsi di formazione e aggiornamento, valorizzando le distinte inclinazioni ed attitudini.
Qual è la tua “promessa” per chi viene a trovarti in pizzeria?
Prometto di raccontare il mio modo di fare la pizza che è strettamente personale, senza avere la presunzione di essere nessuno. Semplicemente ho un’idea e invito a provarla perché è la mia idea.
Cosa c’è nel futuro di Raf Bonetta, quale sarà il “prossimo passo”?
Il mio, anzi il nostro, è un progetto molto giovane ma a 5 mesi dall’apertura della pizzeria siamo in sedici e con un’idea imprenditoriale forte che condividiamo e ci spinge ad andare avanti verso l’espansione che è il prossimo passo, anche molto vicino. Siamo consapevoli che la forza di chi vuole essere un marchio è poter garantire un prodotto che sia, nei limiti dell’artigianalità, sempre lo stesso. Senza una squadra all’altezza non puoi farlo e se non puoi crescere non puoi creare un brand. Ci sentiamo pronti per affrontare questa nuova sfida.
FONTE: horecanews